Quando le parole comandano (e quando invece aprono possibilità)
Le parole non si limitano a descrivere il mondo: lo costruiscono.
Ogni frase che pronunciamo può chiudere o aprire possibilità, definire o liberare.
Scoprire come il linguaggio agisce — e come possiamo usarlo in modo più consapevole e creativo — è il primo passo verso una comunicazione davvero viva.
Leggere i filosofi francesi Gilles Deleuze e Félix Guattari può sembrare, a prima vista, un’impresa per addetti ai lavori. Eppure, più mi addentro nel loro pensiero, più mi accorgo di quanto parli del nostro quotidiano — di come viviamo, comunichiamo, lavoriamo, e perfino di come ci pensiamo.
Tra le loro idee più affascinanti c’è quella di rizoma: una forma di pensiero e di relazione che non parte da un centro, ma cresce per connessioni, come le radici sotterranee di una pianta.
Un’immagine semplice ma potentissima, che ci invita a ripensare anche la comunicazione — non più come trasmissione lineare di messaggi, ma come rete viva di scambi, dove ogni voce può generare senso.
Ed è proprio in questo orizzonte che i due autori ci offrono un’altra intuizione preziosa: il linguaggio non è mai neutro.
Non serve soltanto a dire le cose, ma contribuisce a costruire la realtà.
Ogni parola che pronunciamo, ogni frase che scriviamo, lascia un segno.
Il linguaggio come dispositivo di potere
Deleuze e Guattari invitano a guardare al linguaggio non come a uno strumento neutro, ma come a un dispositivo che produce realtà. Le parole non si limitano a descrivere: agiscono. Ogni volta che parliamo, assegniamo significati, ruoli, identità.
Quando diciamo a qualcuno “sei stupido”, non commentiamo un comportamento, ma fissiamo una qualità sulla persona, come se quell’agire momentaneo definisse ciò che è.
In realtà, forse quella persona ha semplicemente agito in modo inconsapevole, o in una condizione che non le permetteva di vedere diversamente.
Il linguaggio, però, tende a solidificare il contingente, trasformando un gesto in una natura.
Per questo, nelle nostre interazioni è fondamentale distinguere tra persona e comportamento: se il giudizio è rivolto alla persona, la definisci e chiudi; se è rivolto al comportamento, apri a ulteriori possibilità, lasciando spazio alla comprensione, al cambiamento, al dialogo.
Il potere del linguaggio sta proprio qui — nel decidere se le parole diventeranno etichette o possibilità.
Entrare nel linguaggio
Quando nasciamo, siamo una materia viva e indeterminata, ancora fuori dal linguaggio.
Poi impariamo a parlare, e con le parole impariamo anche i modelli del mondo: ciò che è accettabile, ciò che non lo è, cosa “si dice” e cosa “non si dice”.
Ogni parola che impariamo porta con sé una regola, un giudizio, un ordine implicito.
In questo senso, imparare a parlare significa anche imparare a obbedire.
Balbettare nella lingua
Ma non tutto è chiuso.
Possiamo disturbare le parole, piegarle, farle deviare dal loro uso normale.
Possiamo balbettare nella lingua, come scrivono Deleuze e Guattari, e creare significati nuovi.
È in questo gesto di scarto che nasce la comunicazione autentica — non come ripetizione di formule, ma come invenzione.
Verso una comunicazione rizomatica
In questo processo, il concetto di rizoma offre un’altra via: una comunicazione non gerarchica, aperta, connessa per intensità più che per struttura.
Nel rizoma non c’è un centro che controlla, ma molteplici punti che si incontrano, si separano, si riconnettono.
Portato nella comunicazione, significa dare spazio alla pluralità dei significati, accogliere le differenze, permettere che il senso emerga dal dialogo e non da un’autorità.
Comunicare in modo rizomatico vuol dire non fissare mai l’altro in un ruolo, ma accompagnarlo nel suo divenire. È riconoscere che ogni parola può aprire o chiudere mondi — e che sta a noi scegliere se usarla per etichettare o per generare movimento.
Le parole non servono solo a dire: servono a fare.
Rendersi conto del loro potere è un atto di consapevolezza. Ma imparare a usarle per creare, non per definire, è già un gesto di libertà.
Forse, la comunicazione del futuro non sarà più lineare, ma rizomatica: capace di crescere in molte direzioni, di cambiare forma, di restare viva.
