Essere madre di un figlio “speciale” significa imparare, ogni giorno, l’arte di lasciarlo crescere, anche quando fa paura.
Durante una riunione del gruppo di genitori del co-housing di mio figlio, ho sentito riaffiorare una fatica che conosco bene: quella di imparare a prendere le distanze da mio figlio per permettergli di vivere la sua vita. È un esercizio di fiducia, ma anche di dolore. In queste righe ho provato a raccontarlo, perché so che non sono l’unica a viverlo così.
Il passo più difficile: restare un po’ indietro
C’è un momento, nel cammino di ogni madre, in cui bisogna imparare a fare un passo indietro.
Ma per me, che sono una madre “speciale”, quel passo pesa come un macigno.
Ieri sera, durante la riunione mensile con gli altri genitori del co-housing, mi sono trovata a dirlo ad alta voce: quanto è difficile prendere le distanze da mio figlio per permettergli di vivere la sua vita.
Quanta fatica nel lasciarlo sperimentare, sbagliare, scegliere — e quanta paura nel sapere che, a volte, nemmeno lui sa davvero in quali acque sta navigando.
Io che per anni sono stata la sua bussola, il suo porto sicuro, ora devo imparare a non indicargli più la rotta.
A fidarmi che, anche con le sue fragilità, possa trovare la sua strada.
Scoprire che non lo conosco davvero
Ci sono giorni in cui lo guardo e mi sembra di non riconoscerlo del tutto.
Perché la verità è che non lo conosco così bene come pensavo.
Per anni ho creduto di sapere tutto di lui: cosa lo rende felice, cosa lo spaventa, chi gli piace e chi no.
E invece scopro che ha simpatie e antipatie che non avevo mai notato, pensieri che non mi confida, emozioni che non riesce a spiegarmi.
E la notizia — non so ancora se bella o brutta — è che è molto più “normale” di quanto io riesca a immaginare.
A volte mi nasconde piccole cose, altre volte semplicemente non trova le parole. E io resto lì, sospesa, tra il desiderio di capirlo e la necessità di lasciarlo essere.
Imparare a essere una madre “normale”
Forse è proprio questo che devo imparare: a smettere di essere solo una madre “speciale” e concedermi di essere una madre “normale”.
Una madre che sbaglia, che non sa sempre cosa fare, che ha paura ma prova a fidarsi.
Una madre che lo ama abbastanza da farsi da parte.
Lasciarlo andare non significa abbandonarlo.
Significa restare accanto, ma in silenzio.
Essere la riva, non la barca.
Sapere che la corrente lo porterà altrove — e che va bene così.
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