Quando il linguaggio orienta i nostri comportamenti.
Sono alla perenne ricerca di nuove strategie per aumentare la qualità della comunicazione, di tutto ciò che attiene al linguaggio, alla relazione e alla riflessione che l’ascolto produce.
Nel tempo ho capito che l’interazione con altri individui produce ricchezza, sempre e comunque, ma lo fa a determinati condizioni. Vediamole
La prima condizione
Accettare che ogni situazione necessita l’uso di occhiali sempre nuovi e diversi.
Significa fare proprio il punto di vista del giudice saggio.
Accogliere che la ragione trovi cittadinanza in entrambi gli interlocutori, ognuno dei quali interpreta la questione (qualsiasi essa sia) dal proprio punto di vista, storia personale e conoscenze.
Nessuno dei due deve convincere l’altro della veridicità dei suoi assunti ma accogliere la sua visione, senza giudizio. In questo modo, come afferma Panikkar, avremo ben due scenari a disposizione (il nostro e quello del nostro interlocutore).
L’autore per chiarire il significato che attribuisce al dialogo usa la metafora della finestra e spiega che ogni essere umano possiede un proprio orizzonte di pensiero (il proprio punto di vista).
È attraverso il confronto, sostiene, che si può ottenere una visione più completa della realtà.
Prerogativa di un individuo è cogliere solo gli aspetti che lui è in grado di riconoscere, decodificandoli in base alle proprie cornici cognitive.
La finestra attraverso la quale guarda, rappresenta la propria cornice e cultura.
La seconda condizione
Accogliere anche la sua ragione come plausibile.
La ricchezza di cui parlavo prima, quale esito dell’incontro con altri individui, può concretizzarsi in vari modi.
Un comportamento, un gesto, una parola.
Qualcosa provoca un sussulto, stuzzica il tuo interesse, fa accendere una lampadina e ti spinge uscire dalla tua zona di confort.
Non deve accadere per forza subito.
È importante non censurare l’altro solo perché non è frutto della propria conoscenza.
La terza condizione
L’ascolto attivo, facendo proprie le sette regole dell’arte di ascoltare di Marianella Sclavi.
Propongo di aggiungerne un’altra
Ascoltare il proprio corpo, le proprie sensazioni.
Ci sono situazioni in cui la mente (mente) ma al corpo non sfugge l’importanza di quanto accade intorno a te: una sensazione, un brivido, un’accelerazione del battito cardiaco, una vampata (non necessariamente indice di menopausa) ecc. possono darti indicazioni che al momento non comprendi, ma che ti riguardano, eccome ti riguardano.
Quando qualcosa ti stuzzica
Ad una recente lezione al “Death studies & the end of life” la Prof.ssa Testoni affrontando il tema del linguaggio e della censura che si attua parlando di temi “delicati”, ha sollecitato il mio interesse sulle affermazioni che seguono:
- Gli esseri umani abitano ciò che dicono, abitano delle rappresentazioni;
- Siamo parlati dal linguaggio; cosa significa che le parole ci parlano?
- Imposizione gentile che agisce su di noi senza che ce ne rendiamo conto;
- Differenza tra essere viaggiatori ed essere viaggiati.
Proverò a decodificarle, ovviamente attraverso le mie cornici cognitive e culturali, lasciando la possibilità che emergano altri nuovi scenari o punti di vista.
Gli esseri umani abitano ciò che dicono, abitano delle rappresentazioni.
Il linguaggio (secondo Foucault) concede a noi esseri umani di orientare i nostri comportamenti. Il mondo è fatto di spazi occupati da cose che condizionano e orientano la nostra quotidianità. In apparenza ci semplificano il compito di dover decidere, in realtà sono loro a decidere per noi. Se ce ne rendiamo conto proviamo a modificarli in base alla costruzione del nostro sé.
Un sé che è prodotto dall’interazione con gli altri e che orienta sia la nostra mente sia i nostri pensieri. Più o meno inconsapevolmente siamo guidati da altri, siamo parlati dal linguaggio che conosciamo e ci comportiamo di conseguenza.
Aumentare il nostro vocabolario, quindi, può significare ampliare la gamma di comportamenti.
Pertanto, a seconda degli orizzonti che il nostro linguaggio svela dinanzi a noi, nella significazione del nostro vissuto (passato, presente e futuro) e attraverso le parole che ci parlano, ci regoliamo e ci comportiamo.
Una precisazione, ciò che intendiamo in questo ambito per linguaggio ha a che fare con le operazioni di codifica delle informazioni, codifica e trattenimento in memoria.
Siamo immersi nel linguaggio che ci orienta.
Pensiamo ad esempio all’urbanistica.
I professionisti in materia, creando un linguaggio di prescrizioni e proscrizioni (disposizioni e divieti) progettano gli spazi adibiti a determinate funzioni, orientando in questo modo il movimento.
Tutto questo viene definito “imposizione gentile” un tipo di forzatura che subiamo inconsapevolmente e quotidianamente, determinata e voluta da linguaggi utilizzati rispetto a noi, al nostro processo di costruzione del nostro sé.
Quando il linguaggio orienta i nostri comportamenti: Riepilogando
Costruisco il mio sé in funzione dei linguaggi che abito, che orientano il mio comportamento e producono la mia esperienza.
Tutto questo mi permette di scegliere, agire, definire il senso della mia vita e collocarmi all’interno di un contesto storico e di una società.
Solo coloro che riconoscono il linguaggio che parlano e da cui sono parlati diventano “attori “(la differenza – diceva Nietzsche – tra l’essere viaggiatori ed essere viaggiati)
Viaggiato è colui che stabilisce una meta, entra in una agenzia di viaggi e si fa predisporre ogni cosa, ogni spostamento, affinché il viaggio avvenga senza sorprese. (in genere siamo tutti viaggiatori viaggiati, prenotiamo un treno, un aereo, una macchina a noleggio, una visita guidata etc.)
Ma ci sarà anche un vero viaggiatore che lascerà che sia il caso ad accompagnarlo nel suo viaggio, che sia la vita ad insegnargli ciò che fa parte del suo percorso evolutivo, verso una meta.
Questa può essere l’immagine di chi si lascia trasportare da una corrente linguistica e parallelamente agisce diventando colui che parla.
Essere parlati significa subire interamente quella “imposizione gentile” che agisce su di noi senza che ce ne rendiamo conto.
Una mediocrità (siamo educati a essere mediocri dal linguaggio) che abbassa le prospettive linguistiche di trasformazione del linguaggio.
Mantenere lo status quo, vuol dire farsi guidare/parlare dalla corrente. Se poi qualcuno parla in maniera abbastanza convincente può essere che gli diamo anche ragione…

Bibliografia:
Marianella Sclavi: Arte di Ascoltare e mondi possibili – Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, 2003 – Bruno Mondadori
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bussola: Photo by Garrett Sears on Unsplash Garrett Sears
parole: Photo by Glen Carrie on Unsplash
