Il 25 novembre ricorreva la “Giornata contro la violenza sulle donne”. Giornata che ha l’obiettivo di dare voce alle vittime di abusi/molestie nei luoghi di lavoro o fra le mura domestiche – certo non ci si dovrebbe ricordare solo una volta all’anno – diciamo che si tratta di una data simbolica… come il 9 marzo…

Rosso, in tutte le sue sfumature… per dar voce alle donne. Nella RSA dove passo alcune mattinate durante la settimana ogni scusa è buona per realizzare, con le residenti, piccoli progetti.

Attività che diventano a volte oggetto di mediazione per affrontare temi diversamente difficili da trattare.

Questa occasione si è rivelata utile per tessere la seduta di una vecchia panchina ormai in disuso, debitamente verniciata di un bellissimo rosso.
Avevamo a disposizione un certo quantitativo di vecchi abiti il cui unico destino era il macero e pezzi di diversi tessuti dai più disparati toni di rosso.

materiale rosso
materiale rosso due
tessuti tre
tessuti quattro

Rosso… per dare voce alle donne. Il processo:

L’idea era di tagliare strisce di tessuto più o meno lunghe, annodarle una dopo l’altra e formare dei gomitoli che sarebbero serviti da ordito (tessitura verticale). La trama era invece formata da fili orizzontali di materiale plastico rosso già disposti sul telaio (la seduta della panchina).

I grossi gomitoli dei vari materiali tagliati e annodati dovevano passare attraverso la trama e insieme formare un tessuto che sarebbe diventato la seduta della panca.

L’idea è apparsa alquanto stravagante ai più. Da un lato si riteneva che tagliare dei vestiti ancora apparentemente nuovi fosse un peccato; dall’altro le strisce di tessuto (spesso sfilacciate) diventavano ai loro occhi stracci, per non parlare dei nodi che a volte erano veramente grossi.

Tuttavia, qualcuna si è fidata del nostro entusiasmo e, anche se non riusciva a immaginare il risultato finale, si è lasciata trascinare.

C’era chi tagliava, chi annodava, chi avvolgeva i tessuti in gomitoli, chi cominciava a tessere. Tutto questo sotto gli occhi vigili di chi osservava con attenzione che non si saltassero passaggi.

Qualcuna avrebbe volentieri aggiunto un giallo, un verde… (non mancano certo di creatività) ma via via che si approfondiva il significato del rosso, lavoravano leste pur pensierose.

Non c’era quasi tempo per mangiare e, a differenza delle altre giornate, non avevano fretta di raggiungere la sala da pranzo; oppure chiedevano se avremmo lavorato ancora nel pomeriggio o il giorno dopo.

La soddisfazione nel vedere la panchina che via via si completava era grande e anche chi inizialmente era dubbioso ha dovuto ammettere che si stava facendo un bellissimo lavoro!

tessuti tagliati
tessuti e tessitura
tessuti e trama
tessitura in progress

Perché proprio una panchina rossa?

Il pretesto della panchina (uno dei simboli scelti per parlare di questo tema, insieme alle scarpe rosse) era stato utile ad affrontare il tema della violenza e dei femminicidi, ormai diventati argomenti quotidiani nei nostri telegiornali.

Ognuna di loro aveva un proprio parere rispetto alle motivazioni che portano gli uomini ad agire in modo violento nei confronti delle donne.

Secondo buona parte di loro pur parlandone meno, accadeva anche in passato. Accadeva, ma le donne stavano zitte, subivano perché non avevano alternativa, non lavoravano, non potevano andarsene o crescere i figli da sole.

Perché la violenza?

Per salvaguardare il proprio potere, per paura, per gelosia, per cultura.

Qualcuna di loro si riteneva fortunata e avrebbe voluto avere ancora accanto il marito con il quale aveva vissuto 60 anni. Era un uomo gentile, responsabile e, quando necessario, scendeva anche lui a compromessi: una volta l’uno, una volta l’altra… Lei aveva educato i suoi due figli maschi a costruire relazioni basate sulla condivisione di onori e oneri e questo la faceva sentire molto orgogliosa.

Chi riteneva che essere più disponibili avrebbe reso gli uomini meno cattivi… un’altra che mai nella vita si sarebbe sposata ,per non rivivere le violenze fisiche e verbali che il padre aveva riservato a sua madre.

Altre affermavano che andava così, nelle famiglie patriarcali guai a proferir parola… per fortuna, in seguito, le cose sono cambiate. I nuclei familiari si sono ridimensionati e ogni figlio poteva decidere di vivere per conto proprio con la propria famiglia.

tessitura in prog
tessuto finale

Rosso… per dare voce alle donne: Concludendo…

Passare del tempo con loro è una delle cose più belle che mi sia capitata.

Chi ha detto che a 90 anni non provi più entusiasmo, non ti avventuri in situazioni nuove, non hai voglia di farti coinvolgere?
Ognuna di loro, a modo suo partecipa, nonostante le perdite più o meno accettate.

Attività che non cambieranno la loro vita… ma che hanno invece cambiato la mia. Mi hanno aiutato a capire che la pazienza è una virtù, che l’ascolto è un dono che si fa a noi stessi, che le parole possono non servire.

C’è chi, pur non riuscendo a sentire o a parlare, ha la capacità di sorridere con gli occhi, riuscendo a farti capire quanto apprezzi lo stare insieme.

Mi tornano in mente le parole di Pirandello (2013): “Le anime hanno un particolare modo d’intendersi, d’entrare in intimità, fino a darsi del tu, mentre le nostre persone sono tuttavia impacciate nel commercio delle parole comuni, nella schiavitù delle esigenze sociali”.

Non importa quali siano le perdite che hanno subito, se la rappresentazione della loro realtà è diversa dalla nostra, va bene così!

Stare con loro significa lasciare il mondo fuori, accogliere gioie e sofferenze e accompagnarsi reciprocamente perché come afferma Bormolini:

L’accompagnamento non si muove in una direzione, ma in due, quelle della relazione”; entrambi gli interlocutori accompagnano e sono accompagnati, sono donatori e ricevono doni.

L’invecchiamento è una dimensione della vita di cui prima o poi tutti faremo esperienza, loro mi stanno insegnando a guardare avanti senza paura.

Un ottimo, ma anche necessario, apprendistato.

Bormolini, G. (2020) Accompagnatori accompagnati. Messaggero di Sant’Antonio
Pirandello, L. (2013) Fu Mattia Pascal. Mondadori
Photo by Daniela