In questi giorni di isolamento forzato, mi capita di interrogarmi sul senso di solitudine. Mi viene facile pensare alla solitudine voluta e cercata quando ciò che vuoi è allontanare il mondo per riordinare i pensieri, riannodare i fili di una trama sfilacciata o semplicemente per placare ansia e stress.

In solitudine puoi creare uno spazio ideale e neutro in cui interpretare ora una ora l’altra parte di te come in una partita a scacchi in cui sei giocatore e avversario.
Una partita in cui il bisogno non è di vincere ma vivere entrambe le posizioni, entrare in relazione con altre parti di te che hanno qualcosa da dirti e che solitamente taciti per rispondere a presunte priorità.

Riflettendo mi sono resa conto di aver volutamente vissuto momenti di allontanamento dal mondo, ma anche di essermi sentita terribilmente sola tra la gente.
Ho ostinatamente voluto percepire la solitudine come una scelta e raccontarmi che bastare a sé stessi è la soluzione, in fondo: “il primo e ultimo respiro di un essere umano è in solitudine”.
Mi sono così concessa di vedere solo attraverso quella finestra, ma l’incontro con alcune ospiti di una casa di riposo ha fatto vacillare questo mio assunto.
È vero che nascita e morte sono atti individuali, ma l’abbraccio di una madre al proprio bimbo appena nato o la vicinanza di qualcuno che ti è caro quando stai lasciando questa dimensione beh, credo facciano una bella differenza.

Una lettura “scomoda”

Di recente mi è stato suggerito un testo di Diego De Leo e Marco Trabucchi: Maledetta solitudine – Cause ed effetti di un’esperienza difficile da tollerare”.
Mi sono avventurata con una certa tensione alla lettura di questo testo che in una prima fase definisce i contorni della solitudine, cerca le cause ed esplora gli effetti su salute e durata della vita.

Evidenzia poi la solitudine dei “vecchi” e nei servizi sanitari e conclude cercando di individuare interventi per combatterla, nel singolo e collettività.

Una lettura complessa, che per certi versi ho sottovalutato.
L’avevo ritenuta utile per la ricerca che sto facendo, ma ho capito fin da subito che riguardava anche me, così come ogni essere umano. Il momento storico che stiamo vivendo – volenti o nolenti – ci obbliga a fare i conti con “segregazione” e distanziamento sociale.

Sono stata a lungo inconsapevole di quanto le relazioni siano importanti, anzi direi indispensabili per l’evoluzione di ogni individuo, mi sono “risvegliata” dal torpore in cui ero immersa solo di recente.

A dirla tutta me ne sarei accorta pure prima se non avessi continuato a dare ascolto alla parte di me che sosteneva questa equazione:

Relazioni = dipendenza = prima o poi abbandono e quindi solitudine, ergo meglio evitarle.

Un circolo vizioso, ma questa è un’altra storia che ho approfondito grazie a “le 5 ferite e come guarirle” di Lise Bourbeau.

In questo ambito mi limiterò a definire la solitudine e ad evidenziarne gli interventi sul singolo che De Leo e Trabucchi propongono.

Definizione e interventi

In generale, sentirsi soli e percepire sé stessi come non amati, non importanti e non curati, si traduce in una esperienza che si può definire “solitudine”. Lior Rokack, in una rassegna sugli orientamenti teorici, individua quali elementi caratteristici questi aspetti:

  • La solitudine è un’esperienza di separazione che può anche sorgere durante l’infanzia e persistere per tutta la vita;
  • È associata alla perdita di significato e spinge gli umani a cercare senso e individuare connessioni;
  • È sempre difficile da tollerare;

In base alle teorie esaminate, Rokack identifica tre caratteristiche distintive di tutte le esperienze di solitudine:

 

  1. È un fenomeno universale che è fondamentale per ogni essere umano;
  2. Sebbene sia condivisa periodicamente da tutti, è in sostanza un’esperienza soggettiva influenzata da variabili personali e situazionali;
  3. È una esperienza complessa e sfaccettata, ha sempre una dimensione individuale, è molto dolorosa e gravemente angosciante.

La solitudine, un fattore a rischio per la salute fisica

Eppure, nonostante la solitudine rappresenti un fattore di rischio per la salute fisica [Come sostiene Vivek Murthy, in un articolo sul Boston Globe (2018) dal titolo loneliness kills che suggerisce che la solitudine possa produrre danni simili all’impatto provocato da obesità e tabagismo], è un problema che diventa evidente in base a tre ordini di fattori:

  • Cambia la tipologia di nucleo, aumentano vertiginosamente le famiglie unipersonali;
  • Riduzione significativa delle nascite;
  • Aumento età media di vita e invecchiamento radicale della popolazione mondiale.

Dati Istat lo confermano, nel 2019 le famiglie mononucleari nelle tre fasce di età rappresentano:

Complessivamente, rispetto ai 28 paesi europei considerati dal rapporto Eurostat 2017, l’Italia risulta avere una percentuale doppia di soggetti che non hanno la possibilità di chiedere aiuto in caso di bisogno (13,2% rispetto al 6% media europea).
Come mai, visto che la percezione comune dell’Italia è di un paese del volemose bene e di una touch culture che ci vorrebbe molto aperti e comunicativi?
Sembra che parlare di cose intime ad altri sia molto più difficile in Italia che altrove.

 

In questi giorni di isolamento forzato, la solitudine può uccidere come sostiene Vivek Murthy?

Forse no, ma di sicuro dati sociologici, psicologici e clinici sono in grado di affermare che sia nemica dell’uomo del nostro tempo e delle comunità.

Nessuno, durante la propria esistenza, è esente dal rischio di sperimentarla.

Ci sono difese che possono e forse devono essere predisposte?

De Leo e Trabucchi non propongono uno dei tanti decaloghi per combattere la solitudine, ma hanno individuato alcuni atteggiamenti che possono ridurre lo spazio della solitudine della propria vita, come vedremo prossimamente.

Stay Tuned!

Bibliografia: Maledetta solitudine – cause ed effetti di un’esperienza difficile da tollerare – Diego De Leo , Marco Trabucchi. Edizioni San Paolo, 2019

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