Ci siamo lasciati chiedendoci se ci sono difese che possono o devono essere predisposte per combattere la solitudine. Abbiamo anche compreso che probabilmente nessuno è esente dal rischio di incontrare, durante la propria vita, circostanze che lo mettano nella condizione di viverla.

Pur protetti e forti rispetto a questa possibilità è forse utile predisporre alcune difese per sé stessi o per essere di supporto ad altri?

La solitudine – affermano Di Leo e Trabucchi in Maledetta Solitudine – rende vulnerabili, imperfetti, timorosi, cioè umani; il problema è capire dove si colloca il confine tra una vulnerabilità che caratterizza e quella che invece travolge l’essere umano.

Come sconfiggere la solitudine

Nel tentativo di “sconfiggere” la solitudine gli autori individuano due possibilità:

  1. Risposte uguali, separate e a basso costo perché costruite in serie (un’economia di scala sostanzialmente inefficace in questo caso);
  2. Risposte volte a integrare un tessuto già articolato che, sommate a un intervento di supporto esterno, ne moltiplicano l’efficacia.

Va da sé che la seconda risposta va rivolta a un tessuto umano coeso capace di rappresentarsi un obiettivo e che si organizza al proprio interno costruendo forti interazioni.

Una società di soli soffre perché la somma di sofferenza senza propositi non può costruire comunità felici e farvi fronte richiederebbe all’organizzazione sanitaria un impegno troppo gravoso. (Nel tempo, se non supportati dalla volontà dell’individuo, potrebbero comunque naufragare)

Per essere interventi efficaci devono quindi poter contare sulla volontà del singolo inserito in una mini-comunità (famiglia o altre aggregazioni) che lo supporta.
Affidarsi al virtuale inoltre non aiuta, poiché si tratta di una vicinanza silente che difficilmente riempie cuore e mente di significati.

Come intervenire sul singolo allora?

Come si può convincere qualcuno a rischio, a impegnarsi affinché la solitudine eviti di impossessarsi della sua vita?

Beh, mi sono raccontata a lungo che investire tempo ed energia nelle relazioni avrebbe interferito con i miei propositi di indipendenza e libertà e sì, sono stata parecchio convincente.

Ho impiegato molto tempo e preteso una certa dose di onestà per accettare che tutto questo potesse nascondere timore di confronto e possibile critica.
È difficile percepire in modo chiaro il legame che ci può essere tra isolamento e infelicità anche se non faccio fatica ad ammettere che ciò che mi faceva e fa felice è l’amore, la vicinanza e l’intimità con altri, in altre parole le relazioni, meglio se di qualità.

Tuttavia, se da un lato si può essere impauriti all’idea di un angosciante futuro di solitudine, allo stesso tempo paralizzati da questa prospettiva, si ritiene vano ogni impegno a creare relazioni.

Cosa fare per trasformare questo circolo da vizioso in virtuoso?

Tendiamo a cercare sempre conferme rispetto a ciò in cui crediamo. Lo stimolo alternativo offerto da altri lo percepiamo spesso come una provocazione, o come l’ennesima perdita di tempo, tanto ormai…

C’è stato un momento nella mia vita in cui ho bandito il termine “ormai” dal mio vocabolario personale. Ormai una cippa, ho imparato che la vita è in grado di smentirci, dobbiamo solo permetterglielo. Il punto è, come fare?

Come permettere alla vita di insinuare in noi il dubbio che quello che stiamo facendo non è il massimo?

Che il cambiamento dipende solo ed esclusivamente da noi?
I “consigli” che via via offriamo o ci vengono offerti: adotta un animale, frequenta luoghi dove incontrare persone, iscriviti a un corso di cucina, scrivi un diario etc. etc.  secondo De Leo e Trabucchi servono a poco.

Gli autori sostengono invece che vi siano alcuni atteggiamenti che possono contribuire a ridurre lo spazio della solitudine nella propria vita, non formule magiche ma impegno serio e sereno.

Quelli che seguono sono alcuni atteggiamenti dell’animo e della vita che “possono esercitare una funzione importante nella costruzione di rapporti significativi del singolo con gli altri”, vediamoli insieme.

Atteggiamenti dell’animo

L’attitudine di riconoscere che ciò che siamo non è solo merito nostro ma è anche grazie ad altri. Gratitudine è andare incontro e riconoscendosi debitori, camminare verso l’altro per intrecciare un abbraccio. La disposizione ad una naturale e reale gratitudine faciliterà la costruzione di momenti di relazione efficaci.

Una felicità generosa, aperta agli altri che trova nella comunità il miglior modo di esprimersi. Non si parla di una felicità assoluta e slegata da relazioni (patrimonio di un santo nei confronti del proprio Dio) ma di una felicità indotta dal donare, anche senza la pretesa che quel gesto riceva adeguati compensi, ovvero priva di aspettative.

Viviamo spesso parlando di noi svilendo l’ascolto dell’altro, come se al mondo esistessero solo i nostri problemi e solo quello che ci accade sia degno di nota. Non sentirsi ascoltati isola e aumenta la solitudine che a sua volta accresce negatività e aggressività limitando così la possibilità di creare relazioni rilevanti per tutti.

Ha il pregio di costringere il curioso a guardare nella vita altrui e identificare spazi sui quali impostare una relazione. Più in generale spinge alla conoscenza della storia di un ambiente, una famiglia, una comunità, per costruire un proprio spazio al suo interno. È l’incapacità di restare dentro la storia a causare la solitudine.

Una dote dell’animo che permette di superare incomprensioni e porsi davanti all’altro con la volontà di ascoltare ed essere ascoltati senza prevaricazioni, insistenze e desiderio di potere. Gentilezza che presuppone attenzione a come l’altro si avvicina e disponibilità a calibrare il proprio atteggiamento affinché si crei uno spazio comune.

Combattere la solitudine

Varie sono state le campagne sviluppate in vari paesi del mondo utili ad incrementare la sensibilità individuale e collettiva verso la solitudine. Fare in modo che da fattore di sofferenza del singolo diventi punto di attenzione per la collettività.

I vari approcci hanno un filo conduttore comune, l’attenzione ai fattori sopraindicati poiché si sono dimostrati in grado di agire positivamente sulla solitudine. Inoltre, sono state messe in atto altre procedure che vanno: dall’intervento personale alle terapie di gruppo che esortano l’individuo ad aprirsi per ricevere aiuto ma anche ad offrirlo a sua volta.

La diversità degli approcci è funzionale alla eterogeneità delle storie, esperienze, etc.

Il punto è che anche a prescindere dal fatto che si voglia o no vivere da soli ci si può trovare in bilico, incapaci di scelte precise. Oppure si ritiene che gli aspetti negativi siano eccessivi e si rinforza la propria condizione di distacco e solitudine.

Anche se studi recenti indicano la possibilità di adottare in futuro interventi farmacologici per combattere la solitudine, secondo gli autori l’intervento biologico potrà svolgere funzione secondaria e non sostitutiva di provvedimenti legati alla sfera psicologica e dei rapporti sociali. (Sono state presupposte alterazioni a livello biologico come substrato della solitudine, ma si tratta di studi ancora in fase embrionale)

L’auspicio è che attraverso le relazioni e l’interesse per gli altri, si possa identificare una via contro la solitudine.

La solitudine è sofferenza maledetta non quando si è soli, ma quando si ha il sentimento di contar niente per nessuno. Enzo Biagi.

Bibliografia: Maledetta solitudine – cause ed effetti di un’esperienza difficile da tollerare – Diego De Leo , Marco Trabucchi. Edizioni San Paolo, 2019

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