8. Caino parlò al fratello Abele. Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise.
“Caino parlò” – e qui ci si aspetterebbe un discorso tra i due, ma a Caino erano mancate le parole.
Accade che il torto che si percepisce in qualche modo crei una barriera interiore, magari si pensa di non avere ragioni sufficienti. L’emotività prende il sopravvento e la parola viene rimpiazzata da un gesto violento quale sostituto di un dialogo che non si riesce a sviluppare.
La genesi della violenza è precisa e dettagliata, nel caso di Caino nasce da cose remote, diversità di cui nessuno è responsabile. Caino comincia a considerare i suoi sentiti di disparità, di torto subito e li vede attuarsi in questo non gradire da parte di Dio la sua offerta.
Trasferendo sul quotidiano: sul punto di commettere qualcosa in modo inconsulto, può darsi che ci fermiamo a riflettere, ma se il dialogo interiore è contratto al punto da non capire neppure noi cosa sta accadendo? La mancanza di dialogo si traduce in violenza – questa è la genesi del gesto ed è questo che il versetto vuole evidenziare.
9. Allora il Signore disse a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?».
Egli rispose: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?».
Da qui nasce la seconda parte della storia, parte lunga quanto la prima. Il tempo che impieghiamo a uscire dalla vita e finire nei pasticci, è pari a quello necessario a risolvere le cose e capire cosa è successo per ritornare alla vita. Si tratta di processi lunghi, ma possibili.
La narrazione dedica la prima parte a scoprire come si arriva a quel gesto violento, la seconda a capire come se ne esce. Si parla di dialogo interiore del protagonista dei fatti. Utile precisarlo perché ciò che ci interessa, è capire cosa succede dentro di noi nella lunga corsia di accelerazione che ci porta ad azioni riprovevoli. Non solo, capire quale strada percorrere interiormente per uscire dal punto cieco.
Alla domanda di dove fosse suo fratello, Caino rispose di non sapere e di non essere lui il suo custode, competenza eventualmente sua (di Dio).
Tradotto nella nostra quotidianità: quando cominciamo a fare i conti con quello che abbiamo compiuto, la nostra prima reazione è sempre quella di scansarci, si tenta di rimbalzare la responsabilità, o si cercano attenuanti.
“Dov’è tuo fratello”? Non tanto dove sia fisicamente, ma da dove viene, prima devi capire cosa c’è dietro, cosa ti ha portato a questo gesto, che storia avete alle spalle? Da dove stai arrivando, nel senso di cosa è successo nella tua vita in senso più ampio.
Un aggancio ai percorsi di giustizia riparativa: non si lavora esclusivamente sul fatto/misfatto ma sulle storie, perché si riconosce che ogni gesto nasce da una storia. Non è una cosa isolata e questo è vero sempre, non cadiamo nell’illusione che ci siano gesti inconsulti e non si sappia bene il motivo per cui uno compia un gesto efferato, così, improvvisamente.
10. Riprese: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!
11. Oria sii maledetto, lontano dal suolo che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano.
A questo punto della storia cominciano una serie di domande. Siamo al 50% della narrazione, perché dedicare così tanto spazio?
La prima grande indicazione è che la via d’uscita dal male compiuto è innanzitutto restare nel dialogo, non chiudersi. Ciò che Caino (nel versetto 6) non era riuscito a fare, ovvero distendere il proprio dialogo interiore (si era invece chiuso e accartocciato nella propria interiorità), lo dovrà fare dopo. Ciò che per questi autori è il dialogo con Dio per noi può equivalere alla riflessività.
Caino sta vivendo un processo interiore, un percorso di ritrovamento della vita, passando attraverso il male. Capita di dire che il tempo è buon medico “ci vuole tempo” una cosa vera a metà perché il tempo è un buon medico se lo impieghiamo in qualche modo. Se ci chiudiamo, contraiamo, se non c’è dialogo, se rimane un nodo e qualcosa si cristallizza, il tempo non è affatto un buon medico.
Trasformare, non dimenticare perché prima o poi capiterà che, della costellazione di elementi che hanno concorso al fatto da dimenticare, uno anche piccolo riaprirà la ferita e questo riporterà al punto di partenza.
12. Quando lavorerai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra».
Una sorta di maledizione che questo genere letterario usa per esprimere la grandiosità dell’accaduto, non tanto che si “scatenerà l’inferno” come diremmo noi, ma induce a riflettere sull’enormità dell’azione.
Dobbiamo disgiungere in questo linguaggio il senso della gravità di quello che è accaduto dal percorso che si potrà fare per ripagare poiché, elemento importante nella Giustizia Riparativa una cosa è rendersi conto del male che abbiamo introdotto nella vita, un’altra è reagire e ricostruire. Ovvero non leghiamo l’idea di maledizione al fatto che hai compiuto il male e vieni ripagato con altro male.
Riportando questo concetto nella nostra cultura: capita che noi genitori minacciamo enormi castighi ai piccoli (e non solo) se fanno certe cose. Una forma ad aiuto (forzato) a prendere coscienza dell’importanza di ciò che sta accadendo, anche se la maggior parte delle volte quei castighi non si realizzano, sono un genere letterario – tuttavia se si realizzano capiamo che qualcosa non funziona.
- In una qualsiasi diatriba, piccola o grande che sia, quando vengono a mancare le parole, è il gesto violento che sostituisce il dialogo che non si riesce a sviluppare. Gesto che riassume il vissuto di sottrazione e di torti subiti, non metamorfosati.
- Il tempo che impieghiamo a uscire dalla vita e finire nei pasticci, è pari a quello necessario a risolvere le cose e capire cosa è successo per ritornare alla vita.
- Ogni gesto nasce da una storia, ripercorrerla è il primo passo.
- Non sarà altro male a ripagare del male subito.
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Alla prossima…
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