Sincronicità?

Ho letto in questi giorni Babel di Z. Bauman ed E. Mauro (edito da Editori Laterza, 2015): un dialogo tra i due autori che evidenzia gli effetti della crisi economica e della globalizzazione sui meccanismi sociali e della politica. In particolare gli esiti che la grande trasformazione ha prodotto sulla rete.

Un libro che secondo U. Galimberti “dovrebbe essere letto nelle scuole, affinché i giovani, a cui spetta di diritto il futuro, abbiano chiara la mappa dell’avvenire senza perdersi per vie errabonde”.

Non è la prima volta, eppure mi stupisco sempre quando accade. Possiamo definirla sincronicità o in qualsiasi altro modo ma di fatto, leggerlo in questo momento (l’avevo a casa da un anno) mi ha aiutato a superare un momento di grande confusione.

Il periodo di confusione che stiamo vivendo sia io sia Martino si può considerare proprio una Babele.

Partiamo dal significato di Babele: sinonimo di disordine e confusione, secondo il racconto biblico (Genesi 11, 1-9), gli abitanti di Sennaar decisero di costruire una città e una torre «la cui cima raggiungesse il cielo». Ma Dio, per punire il loro orgoglio, confuse le lingue, cioè le idee e i propositi di costoro che, interrotta la costruzione della città, si dispersero per il mondo: «perciò a questa fu dato il nome di Babele, perché l’Eterno confuse quivi il linguaggio di tutta la terra».

Ma torniamo a me, due sono i concetti di Babel di cui parla Bauman, che hanno solleticato la mia mente:

  • la Caverna di Platone
  • il Rito di Passaggio di Turner.

La Repubblica di Platone, riassume tutto il pensiero platonico in un mito che rappresenta i punti più profondi della sua dottrina, il mito della caverna: è uno dei più conosciuti e introduce il libro settimo de La Repubblica.

La situazione si presenta in questo modo: alcuni schiavi, incatenati in modo da fissare solo il muro loro di fronte, vivono nella profondità di una caverna fin dalla nascita.

Di fronte alla caverna

c’è una strada e alle spalle di questa strada arde un grande fuoco. Tutto quello che possono vedere gli schiavi è la parete che hanno di fronte, dove si proietta tutto ciò che passa lungo la strada: ombre di persone che trasportano degli oggetti, statue, vasi etc. che variano di dimensione e forma.

Per gli schiavi queste ombre rappresentano la realtà, è tutto ciò che hanno sempre visto.

Immaginiamo per un momento di liberare uno di questi schiavi e lasciarlo uscire dalla caverna, che cosa potrebbe accadere?

Prima di tutto sarà abbagliato dalla luce, poi e per gradi si renderà conto che quelle ombre altro non sono che effetto di simulacri e oggetti e, capire infine, che quegli oggetti riprendono cose naturali, vere. Dall’ombra della statua – alla statua – a un guerriero vero (che rappresenta la statua), riuscirà quindi a vedere le cose come sono.

Ora, immaginiamo ancora che questo schiavo torni alla caverna e provi a spiegare ai suoi ex colleghi quello che ha visto fuori.

Chi potrebbe credergli?

Probabilmente nessuno, per loro si tratta di cose completamente sconosciute che nessuno di loro, oltre a non aver mai visto, è neppure in grado di comprendere, anche se lui dal canto suo dice la verità.

I riti di passaggio

Il secondo punto riguarda il Rito di passaggio (simbolico) di Victor Turner di cui aveva formulato una teoria innovativa suddivisa in tre fasi distinte:

  • separazione dalla realtà precedente;
  • transizione, in cui si tenta di ricomporre i simboli culturali in modi inediti;
  • aggregazione in un nuovo ordine.

Fra punto di partenza e arrivo c’è uno stadio di transizione, una sorta di limbo, di terra di nessuno. Come dice Bauman di “simbolica “nudità sociale” per così dire: tutte le bardature e le attrezzature dello status che sta per essere abbandonato devono essere tirate giù, tolte, rimosse, dismesse e spazzate via – prima che si indossino i distintivi dello status che viene assunto: i soggetti che compiono il passaggio devono prima essere spogliati nudi […] essere radicalmente purificati delle tracce del passato, per poter essere ammessi alla loro nuova identità sociale”.

Tipico esempio il rito di passaggio dalla fanciullezza all’ingresso nella vita adulta.

Apparentemente due cose distinte

Partiamo dall’assunto che tutto ciò che sappiamo della realtà riguarda le nostre conoscenze e, qualsiasi cosa esuli da queste, ci mette a disagio. Sarà così almeno fino a quando non si sperimenta la novità e la si integra nel bagaglio cognitivo/esperienziale personale. Vale la regola che se la mente è aperta e flessibile è meglio.

Fino a qualche anno fa, la mia vita era impostata su binari abbastanza consolidati, il mio lavoro mi impegnava molto, ma era il mezzo attraverso il quale potevo crescere mio figlio dignitosamente. L’autismo di Martino mi aveva dapprima sconvolto, poi pian piano avevo accettato e accolto la sfida come un’immensa opportunità.

Ogni tanto mi chiedevo se non fosse troppo alta l’asticella che mi ero posta, ma non ho mai mollato e, l’impegno profuso – professionale e genitoriale – mi aveva ricompensata: avevo ottenuto risultati rispettabili in entrambi gli ambiti.

Il bivio

Tuttavia, qualche anno fa eravamo entrambi arrivati a un bivio, aver smesso di lavorare mi aveva separato da una realtà professionale che, per quanto ostica, era un punto di riferimento. Non sapevo ancora cosa avrei fatto della mia vita. Un periodo di transizione nel quale ipotizzare quali potevano essere gli scenari possibili, prima di entrare in un nuovo ruolo.

Non potevo immaginare come sarebbe stato essere libera per buona parte della giornata da lavoro e Martino. Mi ero trovata con tanto tempo a disposizione e uno spazio d’azione inedito.

Fino a quel momento tutto aveva ruotato intorno a lui e l’equilibrio che avevamo raggiunto, tutto sommato, non era male. Il nostro era un mondo ricco, fatto di piccole cose – gli spazi di libertà che mi ero ricavata erano spazi di autonomia anche per lui.

Quello che non avevo previsto

era come ci saremmo sentiti e come avremmo reagito.

Nella nostra “caverna” avevamo vissuto pensando che la nostra vita fosse quella, senza neppure mai immaginare che avrebbe potuto essere diversa. Tuttavia nella nostra “caverna” ci dovevamo ritornare, anche se lo status sarebbe stato diverso. Forse non saremmo stati legati e costretti a guardare solo da una parte.

La mia decisione di uscire è stata motivata dalla disperazione, non sopportavo più nulla. Ero diventata intollerante nei confronti dei suoi comportamenti e pretendevo molto di più che in passato. Ero consapevole che ogni passo verso la sua indipendenza significava aumentare ancora un po’ la mia libertà, cosa di cui ora pensavo di non poter più fare a meno.

Chi era uscito dalla caverna?

In realtà non ero uscita solo io dalla caverna, anche Martino aveva messo fuori la testa, e questo grazie a un gruppo di ragazzi meravigliosi che lui chiama “i miei amici”. Con loro passa qualche week-end durante l’anno e qualche settimana d’estate. Il primo periodo eravamo entrambi “impazziti”: io non accettavo più il vecchio lui e lui non accettava la nuova me. D’altro canto, finalmente lui aveva avuto dei modelli maschili più consoni alla sua età. Con loro riviveva l’adolescenza che non aveva mai sperimentato, insieme alle varie negazioni. Il rovescio della medaglia era che, tutto ad un tratto, io ero diventata il nemico da combattere.

Il periodo di transizione è stato lungo, sfidante e sfiancante, ma finalmente stiamo entrando nella terza fase, quella di una nuova individualità che tiene conto dell’altro senza esserne dipendente.
Per quanto mi riguarda, il passaggio più importante è stato quello di prendere coscienza che sarei rimasta sempre e comunque la madre di Martino (che amo infinitamente) ma anche altro, tutto quello che avevo sempre negato a me stessa.

Bastava cambiare le priorità

ed essere flessibile, il mondo che avevo scoperto era nuovo, sconvolgente, a volte mi sentivo ubriaca di libertà, altre ancora in gabbia anche se mi rendevo conto di essere io a costruirla.

Il punto è che Martino, rimasto a lungo a guardare le ombre (status che ha difeso strenuamente, era l’unico che conosceva), ha scoperto un mondo di cui ignorava l’esistenza e che ora vuole conoscere. È persino disposto a fare cose che prima non avrebbe neppure preso in considerazione, pur di continuare a vivere queste opportunità.

Non so dove tutto questo ci porterà, non è ancora così chiaro, ma ieri è accaduta una cosa che non era mai successa in precedenza. Tornato dopo una settimana da una vacanza con i suoi amici, mi ha guardato con gli occhi da pesce lesso e mi ha detto “Mamma ti voglio tanto bene”, era proprio felice di rivedermi. Non era mai accaduto.